Riassunto Canto XXIII Paradiso

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Cielo ottavo o delle stelle fisse. Trionfo di Cristo e di Maria
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Vergine Maria

Canto di trionfi questo, che si sintetizzano in un trionfo, quello più importante e centrale nella vita dell’uomo, quello che si consegue sulla cupidigia, sulla brama di potere economico, sulla società che del denaro fa il suo nume tutelare, e respinge il momento religioso morale. E se nella visione cristocentrica propria del cattolicesimo il trionfo supremo è quello di Cristo, è ugualmente vero che della sua vittoria sul peccato godono, vittoriosi anche loro, Maria, la rosa mistica, gli apostoli e tutte le anime di ogni tempo, anche di quello che verrà fino alla cessazione del mondo. E questo triplice trionfo (anche se il poeta si sofferma con maggiore forza e convinzione su quello di Maria) è così esaltante, riempie l’anima di così alta soddisfazione che ad esprimere la commozione che ne deriva spesso le parole sono inadeguate. Per questo il canto si ritma su una serie di osservazioni e di ritorni sull’inettitudine della parola del poeta, il quale, nell’accostarsi al tema dell’infinita bellezza e perfezione divina, per dare a sé e ai lettori il senso di quella straordinaria esperienza ricorre a similitudini tratte dalla osservazione della realtà terrena; e questi paragoni, scelti tra i più significativi a rendere il senso di pienezza da cui l’anima del poeta si sente investita nel viaggio attraverso il paradiso, danno al canto una caratteristica unica in tutto il poema. Con un delicato paragone tra Beatrice vigile e attenta e l’uccello che all’alba si colloca su una aperta frasca in attesa che il cielo si schiarisca e gli dia la possibilità di cercare il cibo per i piccoli, si apre il canto: quasi a sottolineare il primo sentimento dominante che è quello della vigilanza e dell’attesa. La scena poi si dilata ed è sottolineata dal sentimento di gioia impaziente proprio di una madre provvida ed attenta: su questo tema della madre che ritorna con insistenza il canto si avvia alla celebrazione della figura di Maria, la più alta delle creature, ma soprattutto madre che non può privarsi della vista del figlio. Lo splendore di indicibile bellezza che come un punto estremamente luminoso concentra la luce ed attrae l’attenzione del poeta, è paragonato alla notte che illumina il cielo punteggiato di tante stelle. La luce che in sé concentra ogni altra luce è quella di Cristo: le luci che l’accompagnano sono dei beati, delle anime che Cristo strappò alla morte e al limbo e che ora costituiscono il segno visibile del suo trionfo sul peccato. Dante si smarrisce e più non sa dire ciò che di lui avvenne. È questo uno degli esempi di esperienza mistica, di contemplazione dell’munito, di totale rapimento: l’anima vive un’esperienza eccezionale, si pone in contatto immediato con la divinità; tornata alle sue esperienze quotidiane più non sa riferire l’oggetto della visione: l’infinito non può essere contenuto dal finito. L’unica cosa che resta è l’impressione gioiosa di aver vissuto un momento di vita incredibile, cui si congiunge lo sgomento per ciò l’uomo ha visto spalancarsi per un attimo, non misurabile in termini temporali. Ma Cristo dopo la rapida apparizione ritorna all’Emireo: Dante ora può osservare i beati, come durante una giornata di nuvole e sole si può vedere, stando in una zona d’ombra, un prato coperto di fiori e i raggi scendere su di esso: non si può vedere però la sorgente della luce. Ora l’anima più luminosa è Maria, più alta di ogni altra anima beata perché madre di Cristo. Dante qui accoglie e fa sua la tendenza affermatasi verso il Mille, di fare della Vergine, la creatura più vicina a Dio, la mediatrice tra Dio e l’uomo, colei che accoglie misericordiosamente le preghiere degli uomini, e le presenta al Creatore. Questo culto ebbe poi importanza grandissima neleattolicesimo, in particolare in quello italiano. Sollecitata dalla preghiera dei beati, Maria tra il canto di tutti si alza per salire all’Empireo. Dei beati che restano ora il più luminoso è San Pietro: ed è suo il terzo trionfo del canto.

Del quale canto, così medievale nell’impostazione (il trionfalismo del cristianesimo che al tempo di Dante sembrava non aver rivali, la celebrazione di Maria e quella di San Pietro, la contemplazione mistica e sgomenta, l’atmosfera chiesastica) si può rilevare anche un altro elemento: il lettore sembra assista ad un rito, ad una sacra rappresentazione: da un lato il pubblico dei fedeli devoti e attenti (Dante), dall’altro la presentazione in processione del sacerdote gerarchicamente più alto (Cristo), poi degli altri, alcuni dei quali primeggiano, altri fanno corteo.

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