Protasi. Invocazione. Catone Uticense
Anche il Purgatorio, come l’Inferno, inizia con una protasi ed un’invocazione, — in ossequio al canone retorico osservato all’inizio di ciascuna cantica — perfettamente in LUSSURIOSI tonate al mondo di serenità e di pace cui Dante si affaccia. Tra l’inferno e il purgatorio non vi è difatti continuità ideale e morale: l’uno è il regno del male, della brutalità, la sintesi di tutte le aggressioni che l’uomo per sfrenatezza di passioni o per cupidigia di potere compie contro gli altri uomini; l’altro invece, un’isola solitaria in mezzo all’oceano si offre come il regno della purificazione, della preparazione alla beatitudine eterna. La diversità tra i due mondi è subito avvertibile nel paesaggio: una tersa chiarità mattutina, un cielo azzurro e puro. Ma « la freschezza e la tenerezza delle impressioni luminose non nascono solo dal diletto del ritrovamento degli spettacoli terreni, ma dal ritrovarli come momento, premessa, sfondo di eventi insieme lieti e meravigliosi. C’è senza dubbio in questo primo canto il riposato gaudio del ritrovamento del terrestre, ma esso non sta semplicemente come liberazione dall’orrore paesistico dell’inferno, senza cielo, senza luce, ma, assai più, come attesa e presagio del divino. Da ciò lo stupore e la particolare letizia di queste prime visioni e la pacata lentezza del ritmo. Certo, non è un caso che Dante abbia scelto l’alba come ora del suo arrivo al purgatorio; come gli spazi, così anche il tempo ubbidisce alla legge lirica che governa il canto: anche l’alba, anzi il presagio dell’alba (“ l’ora mattutina “) realizza qui liricamente l’attesa del meraviglioso e dell’immacolato (M. Sansone, Il Canto I del <(Purgatorio «, Roma, 1955). Di questo processo di
riconquista della condizione morale del cristiano, il paesaggio aurorale è la trascrizione in termini sensibili; e tale processo di purificazione si scandisce su cerimonie e riti previsti e fissati dalla liturgia: tutto l’episodio del primo canto — approdo all’isola, (simbolo della chiesa e della grazia che ti riempie della sua luce), il lavaggio del viso per eliminarne il sudiciume, il giunco schietto di cui il poeta si cinge, simbolo dell’umiltà, e soprattutto il colloquio con Catone, simbolo della libertà morale — si svolge come una serie di momenti di un rito purificatorio, al cui termine il poeta è riammesso nel corpo della Chiesa.
Trasferito in termini sociali questo rito del ritorno della Grazia si traduce in un senso di riscoperta della comunità, smarrito col peccato. Ed a questo scopo è essenziale il modo della redenzione, della riassunzione del peccatore tra coloro che sono dentro la comunità di avviati alla salvezza: e qui si colloca come protagonista il personaggio di Catone, simbolo della liberazione dell’anima. Catone era morto per la società umana, si era sacrificato per dare testimonianza della libertà, e non solo di quella politica, ma anche e soprattutto di quella morale, che è garanzia anche di quella politica. Catone, come i patriarchi liberati dal Limbo (incarna nella viva e irripetibile sostanza della sua persona l’idea di quel risveglio dalle tenebre, di quella vittoria sul regno delle ombre, che è, poi, evento unico della storia, la resurrezione di Cristo e, attraverso di essa, la rinascita di ogni uomo, a incominciare naturalmente da Dante « (E. Raimondi, in Lettere Italiane, 1962). E di Catone Dante ci dà una rappresentazione che è più vicina a quella dei patriarchi biblici e dei profeti che dei personaggi classici. Catone è in età di avanzata maturità, è severo, energico, inflessibile, chiaro nei suoi propositi, votato all’obbedienza, sa quali sono i compiti dell’uomo. Preparato alla nuova impresa dall’incontro con Catone Dante si avvia al compimento del rito: sulla spiaggia, in un’atmosfera di raccolto silenzio, il poeta ritrova la condizione di grazia necessaria per l’ascesa che lo attende. «In un paesaggio ormai familiare e amico, anche se misterioso, in cui la solitudine induce alla speranza e non più alla paura, i gesti (dei due poeti) si compongono semplici e armoniosi, come ubbidendo naturalmente a un ritmo prestabilito: dal lavacro della “ rugiada” sull’“ erbetta” che le mani di Virgilio toccano “ soavemente “, al rito del “giunco schietto “ e al prodigio che si compie, nella “meraviglia” della prima luce mattutina, presso il “ lito deserto “ ». Così si conclude il canto, il cui tema centrale non è l’incontro con Catone ma la cerimonia liturgica — l’incontro col grande romano e parte integrante del rito — con cui Dante comincia la sua iniziazione ai valori smarriti e si avvia alla salita: canto di liberazione, dunque, e preludio a tutta la cantica che segna i diversi ed ascendenti motivi della riconquista del senso della comunità e della grazia.