Canto XXII: Cornice quinta. Avari e prodighi. Stazio. Cornice sesta. I golosi
All’inizio della scala per l’altro girone un angelo, quello della moderatezza recita la beatitudine « beati coloro che hanno sete della giustizia » e cancella la quinta P dalla fronte del poeta. Stavolta sono in tre a salire. Stazio si è unito ai due poeti e li accompagnerà fino alla sommità del monte. Virgilio e Stazio parlano fitto tra loro, Dante li ascolta. Comincia Virgilio: per te, dice a Stazio, ho concepito un grande affetto da quando il tuo contemporaneo Giovenale scese nel limbo e mi rivelò di quanto amore per la mia poesia ti nutrissi, e come esso fosse evidente nelle opere che scrivevi. il/la proprio per la grande stima che ha di lui, vuole sapere, se la domanda gli è consentita, come mai un poeta come lui avesse potuto macchiarsi di avarizia, di un peccato che è in antitesi con lo spirito di liberalità e di saggezza che anima i poeti. C’è un equivoco — risponde Stazio —: non si trova lì perché avaro ma perché prodigo e questo peccato egli ha scontato per centinaia di anni. Anche la prodigalità è un eccesso e molti sbagliano a non ritenerla un peccato. Non così fece lui, che avverti in tempo il peso del peccato e fu proprio la lettura dell’Eneide a farlo ravvedere, ed esattamente quel punto in cui si parla di Polinestore che per brama di oro uccise a tradimento il giovane Polidoro. A quali efferati delitti non conduce gli uomini la maledetta fame dell’oro! Ma Virgilio ha un’altra e più grande domanda da fare: dalle opere di Stazio non risulta che egli fosse cristiano: come mai è salvo? Anche nella conversione Stazio dice di essere stato sollecitato dalla lettura dei testi virgiliani e Precisamente dalla lettura della quarta Bucolica dove si predice la nascita di un bambino sotto il quale il mondo conoscerà la pace. Tu, dice Stazio, mi avviasti alla poesia e tu per primo mi hai illuminato perché mi avviassi alla conoscenza del vero Dio. Hai operato come chi cammina di notte, il quale porta il lume dietro di sé e non reca giovamento a sé ma illumina la itrada delle persone che lo seguono, quando dicesti, parlando dell’età nuova che si apriva con il bambino che era appena nato: si rinnova il mondo, torna la giustizia e torna l’età dell’oro e dell’umanità innocente, dal cielo scende una nuova progenie di uomini. Quando lessi queste parole, aggiunge Stazio, nel mondo si diffondeva la fede cristiana che annunciava la nascita di una nuova società: era eccezionale l’affinità tra le tue e le loro parole. Per questo cominciai a frequentare i cristiani e ad ammirarne la giustizia e la santità. Al tempo della Persecuzione di Diocleziano ero già cristiano ma non ebbi il coraggio di rivelare la mia nuova fede e pur avendo preso il battesimo mi tenni da parte: per questa mia tepidezza sono restato quattrocento anni nella cornice degli accidiosi. L’incontro con Virgilio porge a Stazio l’occasione per informarsi degli scrittori e poeti che si trovano nel limbo. Sono tanti, risponde Virgilio: ci sono grandi poeti comici come Flauto e Terenzio, grandi poeti greci come Simonide ed Euripide insieme coi Personaggi da loro cantati. Sono intanto arrivati nella sesta cornice. La prima cosa che osservano è un albero i cui rami si dispongono come quelli di un albero rovesciato: i Più ampi sono in alto. Dalla parte del monte scende un’acqua che si spande sulle foglie: dall’interno delle fronde una voce grida: invano avrete desiderio di nutrirvi di questi cibi e di bere di quest’acqua. Poi la voce parla di Maria che alle nozze di Cana chiese al figlio che l’acqua si mutasse in vino e certo non Pensava alla gola ma a che le nozze fossero onorevoli; parla anche delle donne romane che per bere si accontentavano di acqua, e del profeta Daniele che rifiutò il cibo e acquistò la sapienza. Sono esempi di temperanza che lasciano comprendere che il girone è dei golosi. Altri esempi ricordano la frugalità degli uomini dell’età dell’oro che rese saporite le ghiande perché mangiate con fame, e la sobrietà di San Giovanni il Battista che nel deserto si nutrì di miele selvatico e di locuste.
Il canto è particolarmente rilevante perché chiarisce la posizione di Dante di fronte alla cultura classica: il punto centrale, per questo, è la confessione di Stazio di essere diventato cristiano per ispirazione tratta dalla poesia virgiliana. Fattosi nella cultura pagana Stazio a poco a poco prende coscienza che la storia, anche quella di Roma, si spiega solo attraverso l’insegnamento cristiano e che quindi i tempi che precedono la venuta di Cristo preparano, preludono a Lui. Di conseguenza la cultura prima di Cristo è un momento del cristianesimo anche se imperfetto ed incompleto. Non può essere respinta così Virgilio è un momento essenziale dell’itinerario di Dante a Dio, come tutta la civiltà ha il suo termine nella storia che muove da Dio e a Dio tende attraverso il modulo interpretativo offerto da Cristo.
Canto XXIII: cornice sesta. I golosi : Forese
Tutti e tre i poeti, Virgilio, Stazio e Dante, procedono lungo il desertico sesto girone: i discorsi dei due latini attraggono il più giovane, lo assorbono e lo isolano dal mondo circostante: dalla assorta meditazione li fa tornare nella opaca e dolente realtà penitenziale l’arrivo di un gruppo di anime che camminano speditamente: guardano, osservano, trascorrono. L’immagine che balza dal gruppo è delle più spettrali della Commedia ed una delle più medievali: sono anime terribilmente macilente, la pelle si informa alle ossa, le occhiaie sono vuote e buie, pallida la faccia: un corteo di spettri, di affamati, quali a volte emergevano nel paesaggio cittadino dopo un lungo assedio o in seguito a spaventevoli carestie. Sono i golosi: furono stimolati freneticamente da un’insaziabile fame e sete, Sono ora puniti nella gola: soffrono atrocemente la fame e la sete, ridestate in loro dalla vista di frutta e di acque, però intoccabili. Chi crede che nel viso dell’uomo si possa leggere la parola OMO vi avrebbe chiaramente potuto distinguere i segni della M. Il canto trova il suo momento poeticamente più alto nell’incontro del poeta con l’amico degli anni giovanili, con Forese. Spettrale come gli altri, sfugge al riconoscimento immediato. Solo dal tono di voce con cui vive le sue parole di meraviglia Dante lo riconosce. Forese non sa dire all’amico la ragione della sua macilenza, squamosa come da scabbia: è effetto misterioso del procedere divino. Una sorta di occulto potere è nei frutti e nell’acqua che scatena il desiderio di mangiare e di bere: il desiderio resta però inappagato e le anime continuano a dimagrire. Solo per questa via, spogliandosi dei desideri terreni, essi si purificano. Ma Forese vuol sapere dall’amico come, vivo, faccia il viaggio nell’aldilà. Era caduto nel peccato, Virgilio lo guida fino là dove l’aspetta Beatrice. Anche Forese è aiutato da una donna, la moglie Nella, che con le sue preghiere ha accelerato il processo penitenziale del marito. Tanto più degna di essere sottolineata la vita morale di Nella perché si può dire la sola donna di Firenze che dà esempio di affetto e di pudicizia: per il resto la città sembra tornata alla barbarie. Il quadro ora si completa: i due amici ritrovano come tema centrale della loro vita il processo dalla caduta nel peccato alla liberazione per l’intervento delle loro donne; ed ora imparano a vergognarsi e pentirsi delle esperienze di peccato degli anni giovanili. A quale tempo di traviamento i due si riferiscano, non è chiaro. I critici ritengono che il tempo del traviamento sia quello che coincide con l’esperienza che si concretò nei sonetti ingiuriosi che essi si scambiaron
o, comunemente noti sotto il nome di Tenzone tra Dante e Forese. « Si tratta di una collana di sei sonetti, tre di Dante contro Forese, e tre di Forese contro Dante, pieni di reciproche ingiurie e accuse. Per darvene un’idea, vi dirò che Dante rimprovera all’amico non solo di trascurare la moglie Nella e di andarsene di notte a rubare, e ciò solo per mangiare a crepapancia, ma addirittura di non esser figlio del padre legale, e a sua volta Forese muove a Dante, tra le altre, un’accusa che proprio non ci aspetteremmo: quella di vigliaccheria. I versi del Purgatorio sono una ritrattazione di queste accuse, una riaffermazione reciproca di affetto e di stima; ma non bisogna per questo pensare che la tenzone rappresenti un momento di rottura dell’amicizia. Essa è uno scherzo letterario, un genere che nel Medioevo, in Italia e fuori, era assai coltivato, uno scherzo che per noi va molto oltre i limiti della convenienza e del buon gusto, ma che allora poteva anche essere tollerata. Comunque, la tenzone è documento di un periodo della vita in cui Dante si compiaceva di cose triviali. Coincide probabilmente col periodo del traviamento: anche se non è necessario pensare che Dante propriamente vivesse allora una vita tutta bassa e lurida, certo c’era abbastanza per stimarla degna di esercitazione letteraria. I versi del Purgatorio non sono dunque solo una ritrattazione delle accuse a Forese, sono anche un solenne ripudio di quella vita, e anche un ripudio di un genere di poesia che Dante da un pezzo aveva abbandonato come indegno.