I movimenti ereticali favorirono indubbiamente la formazione di un più ampio pubblico nei confronti della cultura religiosa, interessato a leggere i testi sacri e interpretare le scritture, divulgandole anche in volgare, per entrare nel vivo del dibattito polemico. La Chiesa comprese l’importanza e il pericolo di tutto ciò e fu molto attenta a controllare i nuovi ordini religiosi nascenti, per non ritrovarseli contro.
La concezione teocratica
Si propagarono, in quest’ottica, numerosi volgarizzamenti di un’opera che alla fine del secolo XII rappresentava e racchiudeva tutta l’ideologia cristiana: il De miseria humanae conditionis di Giovanni Lotario, divenuto papa col nome di Innocenzo III, il famoso teorico della concezione teocratica del potere della Chiesa. In questo libro il Pontefice aveva affermato il disprezzo del mondo e delle cose terrene, descrivendo come spregevole e assai meschina la condizione dell’uomo, condannato alla morte e ad eterne pene nell’aldilà, se non provvedeva, durante la vita, a pentirsi e salvarsi.
A questa opera faceva riscontro un’altra, non meno forte e drammatica nel tono, il libro sulla «dottrina escatologica», scritto dal monaco calabrese Gioacchino da Fiore (1145-1202 o 1205), nel quale si annunziava un terzo tempo di rinnovamento e redenzione per l’umanità, dopo quello della creazione e della crocefissione, il tempo dello Spirito Santo. La foga della predicazione di Gioacchino da Fiore, che si serviva persino della profezia minacciosa del castigo, per arrivare a convincere alla penitenza e alla conversione dal peccato, non rappresentò un episodio isolato, perché rapidamente si moltiplicarono i predicatori contro gli eretici, esercitando una notevole influenza soprattutto sulla classe borghese, che era maggiormente disposta e incline alla ribellione contro la gerarchia ecclesiastica.
Gli Ordini dei Predicatori e dei Minori
Sorsero, infatti, nel XIII secolo, l’ordine dei Predicatori, fondato da San Domenico e quello dei Minori, fondato da San Francesco, che, a poco a poco, riuscirono a riavvicinare la borghesia alla Chiesa, anzi contribuirono a far partecipare i città borghesi all’opera dell’insegnamento e del magistero ecclesiastico, che fino ad allora era stata monopolio del clero. La Chiesa d’altra parte appoggiò i ceti mercantili e la borghesia perché si rese conto di quanto le fosse necessaria quella alleanza per rafforzare il suo potere, offrendo in cambio la garanzia di protezione nei traffici e nei commerci che sempre più si allargavano verso l’Europa. Il sostegno reciproco, Chiesa-borghesia, consentì, per esempio, che fosse facilitata l’impresa angioina nell’Italia meridionale, ai danni della monarchia sveva, nonché una maggiore accettazione della dottrina ufficiale ecclesiastica che, quietatesi le eresie e passata la tempesta, fu delegata di nuovo ai chierici, ritenuti i soli idonei a riflettere sulle somme verità e sulle questioni teologiche. La religione stessa assunse una fisionomia molto più interiore e mistica, come salute dell’anima, guida spirituale, capace di dare consigli, nelle avversità dell’esistenza, di consolare nel dolore e di far superare gli ostacoli. Ciò spiega il sorgere di tanta letteratura di devozione in volgare, nei secoli XII e XIII, che sul modello della produzione classica di trattatistica morale, si diffonde in forma di predicazioni, vite dei santi, poesie e liriche. Nell’ambito ditali opere religiose, un posto unico e singolare tiene il Cantico delle creature di San Francesco, che si può considerare il primo componimento poetico in volgare, per la nostra letteratura, così come il rinnovamento attuato dal « poverello d’Assisi » fu grandioso e senza precedenti, nell’ambito della cristianità e del cattolicesimo.
Francesco d’Assisi
Francesco nacque ad Assisi nel 1181 (o 1882); ricevette un’educazione prevalentemente letteraria e dalla madre apprese il francese. In un primo tempo sembrò incline alla carriera delle armi e partecipò, infatti, ad una guerra contro Perugia, durante la quale fu preso prigioniero. Questa esperienza e la grave malattia che seguì, portandolo quasi in fin di vita, fecero maturare nel giovane una profonda crisi religiosa, che lo indusse a rivedere tutta la sua precedente vita per modificarla completamente. Il mondo gli apparve in modo nuovo, non più come luogo dove godere o soffrire, ma come creazione di Dio, in cui era dato all’uomo di abitare, per scoprire e contemplare ogni giorno la magnificenza del Signore in tutte le cose e le creature. Spogliatosi dei suoi beni, davanti al padre, in piazza, alla presenza di un vasto pubblico, inclusi i maggiori dignitari di Assisi, Francesco fece voto di povertà e di castità, iniziando la sua predicazione del Vangelo, con una continua testimonianza di amore e di rinuncia ai valori materiali. In poco tempo, spontaneamente gli si unirono molti seguaci, che osservarono la regola da lui istituita, facendosi frati e ubbidendo amorevolmente. Nel 1210 fu dettata la Regola, che venne esposta a papa Innocenzo III da Francesco in persona e che, nel 1223, venne definitivamente approvata da Onorio III; essa imponeva il rigoroso rispetto del Vangelo e il rifiuto totale delle ricchezze. L’ordine di Francesco fu quello di osservare la regola e di amare la povertà, che giustamente Dante definì “la donna sua più cara” (Paradiso, XI, 113), tutto il suo insegnamento, come la sua vita, furono improntati all’idea e alla pratica della povertà: lo stesso esordio dell’ordine dei frati, detti minori, quasi per abbassare e mortificare ancor più la loro funzione, rappresentò un messaggio ed una scelta ben precisa. Francesco aveva infatti stabilito di recarsi tra i lebbrosi, come prima meta volle significare la decisione di privilegiare gli emarginati e i deboli, come destinatari e beneficiari della parola di Dio.
Il linguaggio delle prediche e la lauda
Novità fu anche nel linguaggio delle prediche, assai distanti da quelle retoriche e dotte che di solito gli ecclesiastici tenevano; il parlare fu all’insegna della semplicità, della purezza e della familiarità, affinché tutti, specialmente gli umili e il popolo, potessero capire. La perfetta letizia ispirò il poverello di Assisi, menestrello del Signore, nel vero senso del termine, perché non cessò mai, fino al momento di morire, di cantare le lodi dell’Altissimo. Proprio due anni prima della morte avvenuta nel 1226, egli dettò le Laudes creaturarum, inno meglio noto come Cantico di Frate Sole o delle Creature, inno colmo dell’amore di Francesco per il Signore e per le cose del creato, manifesto della sua accettazione di tutti gli aspetti della vita, persino della morte, chiamata “sorella”. La laude è anche il primo autentico componimento poetico in volgare della nostra letteratura, e documenta non soltanto un pregevole esempio di stile colorito e immaginoso, in cui la figuralità è la forma propria della poesia, ma anche l’uso di alcuni stilemi tipici, direttamente collegati alla provincialità umbra e alla cultura del tempo, come il famoso «per», che ritorna nel cantico, con duplice valore di causa e di mezzo, sì da far pensare al «par» francese.
Simbolismo e misticismo si fondono nella poesia in un diffuso senso di meraviglia per la grandezza e la bontà divina, espresso con intensa umiltà, quasi a capovolgere la comune concezione del disprezzo del mondo, come necessario per raggiungere la perfezione.
Bibliografia
- Religiosità e società medievale. Giullari, eretici, mistici. Principato, Milano, 1979
- Scrittori religiosi del Trecento, Sansoni, Firenze, 1974.
- Storia della letteratura italiana, Anna Maria Vanalesti, Società Editrice Dante Alighieri, 1993.