Il verismo è un movimento letterario italiano della seconda metà dell’Ottocento che si può considerare come il corrispettivo italiano del naturalismo francese, ma mentre il naturalismo si sviluppa in una società industrializzata e in un contesto cittadino, il verismo descrive una realtà italiana ancora arretrata dal punto di vista economico, povera e con uno sfondo soprattutto rurale. I naturalisti francesi rappresentano principalmente la vita del proletariato urbano, mentre i veristi concentrano la loro attenzione sulle condizioni di miseria e di sfruttamento nelle quali viveva un sottoproletariato fatto di contadini e di pescatori. Inoltre, mentre gli scrittori naturalisti manifestano una certa fiducia nel progresso, l’ideologia dei veristi è molto più pessimistica; in Verga in particolare, non è possibile che un personaggio di umili origini riesca in qualche modo, per quanto esso valga, a riemergere dalla condizione in cui è nato. Non è possibile che un povero diventi benestante, ed anche quando accade grazie al suo lavoro e alle sue capacità (come nel romanzo Mastro-don Gesualdo o nella novella La roba), ai personaggi non verrà permesso di entrare a far parte della classe sociale borghese, ma saranno sempre snobbati e discriminati in quanto non vi appartengono di nascita.
Gli scrittori veristi si caratterizzano per l’uso di tre principali tecniche narrative: l’impersonalità, la regressione e il discorso indiretto libero. La tecnica dell’impersonalità consente all’autore di porsi in un’ottica di distacco sia nei confronti dei personaggi, sia di ciò che a questi accade nella storia. La narrazione è quindi distaccata, rigorosamente in terza persona e l’autore si astiene da qualsiasi commento o intrusione, che potrebbero in qualche maniera influenzare il giudizio del lettore su un personaggio o una situazione.
La regressione permette all’autore di “ridursi” allo stesso piano dei personaggi di cui parla, eliminando tutte le terminologie colte che possano in qualche modo far rilevare l’autore/narratore in modo evidente rispetto al testo. È un modo di scrivere secondo cui il narratore adotta le categorie culturali della comunità che descrive a tutti i livelli: credenze, conoscenze, lingua, modo di pensare, metafore. Non vi è più il narratore onnisciente che esprime un suo giudizio sugli avvenimenti (come per esempio in Manzoni), ma il narratore/autore abbandona le sue conoscenze e la sua morale per regredire alla mentalità paesana. Questa tecnica è ampiamente usata da Verga per rispettare il principio dell’impersonalità che abbiamo precedentemente menzionato. Il discorso indiretto libero è una variante del discorso indiretto che fonde le modalità del discorso diretto e di quello indiretto in una forma ibrida. Nel discorso indiretto libero non viene utilizzato quel legame tra discorso del narratore e discorso del personaggio che è solitamente il verbo di “dire” o “pensare”, e nemmeno viene usato alcun segnale grammaticale, come per esempio le virgolette, per indicare il momento del passaggio tra i due discorsi. In apparenza sembra quindi essere il narratore che continua a “vedere” e a “pensare”, ma in realtà è il personaggio. In sintesi, il discorso indiretto libero è un discorso in cui le parole o i pensieri dei personaggi vengono introdotti e portati nel testo in forma indiretta tramite il narratore, senza l’uso dei verbi dichiarativi.
Il caposcuola riconosciuto del Verismo è Giovanni Verga, e le opere più rappresentative sono i romanzi I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo (1889), e le raccolte di novelle Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883). Sempre siciliani sono altri importanti esponenti del verismo come Luigi Capuana e Federico De Roberto; quest’ultimo nacque a Napoli, ma visse a Catania dall’età di nove anni. Per via del suo ruolo di docente all’Università di Catania, che lo portava alla riflessione critica oltre che all’attività creativa, il vero teorico del verismo italiano è da considerarsi Luigi Capuana. Nei suoi libri, soprattutto nei romanzi Giacinta (1879) e Il marchese di Roccaverdina (1902), ai temi rusticani propri di Verga si alterna l’interesse per le psicologie tormentate dei personaggi, studiate così a fondo che alcuni critici hanno reputato queste analisi al limite del morboso.
Anche se la realtà siciliana è il principale oggetto di rappresentazione dei romanzi e racconti veristi, il verismo non si esaurisce in Sicilia. Ricordiamo Mario Pratesi e Renato Fucini in Toscana, e Matilde Serao in Campania, il cui interesse per la realtà urbana, come nel libro di racconti Il ventre di Napoli (1884), la avvicina ai naturalisti francesi. La stessa attenzione al sottoproletariato urbano, quello milanese in questo caso, la troviamo in Paolo Valera, scrittore di spiriti socialisti, autore, tra gli altri, del romanzo Milano sconosciuta, del 1879. Anche la Sardegna ci ha dato un’esponente di grande prestigio del verismo, Grazia Deledda, premio Nobel per la Letteratura nel 1926. La narrativa della sua prima fase infatti, da Anime oneste, il romanzo che nel 1895 la rese famosa, a L’edera, del 1908, rappresenta con crudezza esseri primitivi e un mondo di peccato e di malvagità sentita come fatalità. Nella poesia, il termine verismo assume un’accezione diversa. Furono infatti chiamati veristi i poeti che, in aperta rottura con i canoni poetici di allora, rappresentavano la realtà mettendone in luce anche gli aspetti più sgradevoli. In merito a ciò Benedetto Croce scrisse:
“celebrazione della vita terrena e dell’amore carnale […] E voleva dire anche guardare alla realtà senza falsi pudori e ipocrisie e idealizzamenti, dando alle cose le parole che meritano, e perciò stracciare i veli che celano le piaghe sociali, iniziare la ribellione contro le tirannie d’ogni sorta”.
Temi privilegiati di questa poesia sono, ad esempio, la lode al vino, l’anticlericalismo e l’invettiva contro la donna amata (spesso rappresentata come una prostituta). Il poeti Ulisse Tanganelli, per esempio, nel suo sonetto del 1878 No: tu non sei la vergine ideata ripudia e insulta la sua donna perché grassa. Gli ultimi tre versi della poesia sono, in questo senso, estremamente chiari: Tu mi sfondi perdio letto e solaio Io non ti posso amar sei troppo grassa! E ti giro senz’altro al macellaio.
Fra i poeti veristi ricordiamo Pier Enea Guarnerio con l’opuscolo Auxilium, Girolamo Ragusa Moleti con Prime armi e il già citato Ulisse Tanganelli con Aestiva e Autumnalia.