ALLEGORIA. Dal greco allegoría (= “parlare diversamente”). Figura retorica mediante la quale un termine (denotazione) si riferisce a un significato più profondo e nascosto (connotazione). Ad es., il Veltro dantesco, a livello denotativo, significa “cane da caccia”, ma è noto che questo termine allude a un “riformatore spirituale”.
Il problema della comprensione delle allegorie dipende dalla loro maggiore o minore codificazione (ad es., una donna bendata con una spada o una bilancia è ormai un’immagine codificata della Giustizia).
ALLITTERAZIONE. Figura retorica di tipo morfologico, consistente nella ripetizione di uno o più fonemi uguali in più parole consecutive o molto vicine. Come in Petrarca: “di me medesmo meco mi vergogno”, o in Foscolo: “quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”. Casuale nella lingua comune (ad es. “Mia mamma mangia una mela”), l’allitterazione è frequente nei messaggi pubblicitari, dove ha la funzione di favorire la memorizzazione nell’ascoltatore. Ad es.: “Mangia le mele Melinda”.
ANADIPLOSI. Dal greco anadíplosis = “raddoppiamento”. Figura retorica consistente nella ripresa, all’inizio di un verso o di una frase, di una o più parole di chiusura del verso o della frase precedente. Come in Quasimodo: “Invano cerchi tra la polvere, / povera mano, la città è morta. / È morta…“. Oppure in Fenoglio: “In lui tutto era lento, lento era il movimento delle labbra, lento era il roteare degli occhi”. In quest’ultimo esempio possiamo notare la combinazione di anadiplosi e anafora.
ANAFORA. Figura retorica consistente nella ripetizione di una o più parole all’inizio di più versi o enunciati successivi. Ad es. in Dante: “Per me si va nella città dolente, / per me si va nell’etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente”.
ANTIFRASI. Dal greco antíphrasis = “espressione contraria”. Figura retorica consistente nell’usare un’espressione per significare l’opposto di ciò che in realtà si vuol dire. Si tratta di una figura molto usata anche nel linguaggio comune: ad es. “Bella giornata, oggi!” (per significare invece che c’è brutto tempo); “Hai fatto un bel lavoro!” (per dire invece che il lavoro è stato svolto male). Come si vede, l’antifrasi è per lo più utilizzata in senso ironico.
ANTONOMASIA. Dal greco antonomàzo = “chiamo con nome diverso”. Figura retorica consistente nella sostituzione del nome di una persona o di una cosa con un nome più generico o comune, con un epìteto (aggettivo) o con una perifrasi. Alcuni esempi: “il segretario fiorentino” (Machiavelli), “il padre della lingua italiana” (Dante), “la città celeste” (il Paradiso), “il principe delle tenebre” (il diavolo), “l’eroe dei due mondi” (Garibaldi), “il sommo bene” (Dio).
ASSONANZA. Somiglianza di suono fra le ultime sillabe di due o più parole (sia poste in fine di versi successivi, sia al loro interno). Si usa distinguere in assonanza tonica quando sono uguali le vocali ma non le consonanti (es. “climi / mattini“) e assonanza atona quando cambia soltanto la vocale tonica (es. “puro / giro“); si ha infine assonanza consonantica, o più semplicemente consonanza, quando vi è uguaglianza di suoni soltanto nelle consonanti (es. “colla / bello“).
BALLATA. Componimento poetico d’origine provenzale, che compare in Italia attorno alla metà del XIII secolo. Originariamente non aveva una struttura metrica fissa (salvo un ritornello di due o più versi) e i versi erano vari (dal settenario all’endecasillabo). Con gli stilnovisti la ballata assunse una forma più definita, preferibilmnete con soli endecasillabi o settenari oppure con endecasillabi e settenari.
CESURA. Pausa ritmica all’interno del verso, in corrispondenza dell’accento ritmico più importante dopo quello fisso alla fine del verso (cioè sulla penultima posizione). La cesura ha un particolare rilievo nell’endecasillabo, dove il verso risulta diviso in due parti dette emistichi.
DIALEFE. Dal greco dialeìpho (= “separo”). Figura metrica consistente nel tenere distinte, in due diverse posizioni, due vocali contigue ma appartenenti a due parole diverse. Ad es. in Cavalcanti: “Di ciascuna vertù – alta e gentile”. Non c’è una regola precisa per l’applicazione della dialefe, ma in genere si tende a rispettarla in casi come quello citato (cioè quando si incontrano due vocali entrambe toniche).
DIERESI. Dal greco diairéo (= “disgiungo, separo”). Figura metrica consistente nel tenere distinte in due diverse posizioni due vocali contigue in corpo di parola. Ad es. in Foscolo: “Forse perché della fatal quï-ete”. O in Leopardi: “Un mazzolin di rose e di vï-ole”. Non vi sono regole veramente fisse per la sua ap
plicazione; è comunque obbligatoria in due casi: 1) alla fine del verso; 2) quando una vocale aspra (a, e, o) è seguita da una qualunque vocale tonica.
EMISTICHIO. Ciascuna delle due parti in cui un verso risulta diviso dalla cesura. Ad es. in Leopardi: “Sempre caro mi fu – quest’ermo colle”; o in Dante: “Lo giorno se n’andava – e l’aere bruno”, dove peraltro notiamo che fra i due emistichi vi è sinalefe.
ENFASI. Figura retorica che consiste nel mettere in particolare rilievo un termine o una frase. Ad es.: “Lui, lui sa quello che voglio dire!”. Il Lausberg ha notato come, soprattutto per l’oratore e per l’attore, l’enfasi semantica si identifica con “un aumento di intensità della voce (e dei gesti)” nel momento in cui si vuole sottolineare una parola o un concetto.
FIGURE METRICHE. Fenomeni sillabici, tipici della poesia, che non comportano alterazioni grafiche, ma solo una diversa modalità di lettura, ai fini del computo sillabico del verso. Sono la sineresi, la sinalefe, la dieresi e la dialefe (vedi alle singole voci).
FIGURE RETORICHE. Particolari forme espressive della lingua, fondamentali in letteratura (e soprattutto in poesia), ma frequenti anche nella lingua comune. Vengono usate per dare maggiore incisività e una più profonda carica al senso complessivo del messaggio. Si distinguono tradizionalmente in figure di parola (o del significante) e figure di pensiero (o del significato).
IPERBOLE. Dal greco hyperbàllo (= “lancio oltre”). Figura retorica consistente nell’esagerare (amplificandolo o riducendolo) l’espressione di un concetto. Ad es.: “È un secolo che non lo vedo”; “Scendo tra un minuto”; “Sono in un mare di guai”; “Mi piace da morire”; “Non ha un briciolo di cervello”. A livello letterario: “Lo scudo in mezzo alla donzella colse: / ma parve urtasse un monte di metallo” (Ariosto). Dalla storia, il detto proverbiale di Carlo V: “Sui miei dominii non tramonta mai il sole”.
Figura retorica consistente nel trasferire una parola dall’oggetto a cui normalmente la si riferisce ad un altro oggetto, mediante un paragone sottinteso. Così, dicendo: “Tizio è un coniglio”, intendiamo dire che è pavido come un coniglio. Dicendo: “L’infanzia è l’alba della vita”, intendiamo dire che è l’inizio della vita, come l’alba lo è del giorno. Possiamo quindi dire che la metafora è una similitudine abbreviata, cioè sottratta dell’avverbio di paragone.
METONIMIA. Dal greco metonymìa = “scambio di nome”. Figura retorica consistente, come la metafora, nella possibilità di sostituire una parola con un’altra; ma la sostituzione metonimica avviene tra parole appartenenti allo stesso campo semantico (a differenza della sostituzione metaforica, che è più libera e tiene conto di somiglianze anche vaghe), e si basa fondamentalmente su un rapporto di contiguità logica fra le parole scambiate.
METRICA. Termine che indica lo studio dei fenomeni che riguardano la versificazione, cioè le strutture formali specifiche del verso nella poesia (misura dei versi, figure metriche, cesura, ritmo, rime, strofe, ecc.).
ONOMATOPEA. Dal greco onomatopoiìa = “formazione di parole”. Riproduzione linguistica di suoni o rumori esistenti in natura. Ad es. in Pascoli: “un breve gre-gre di ranelle”; verso in cui si rileva anche un’allitterazione in r. Fenomeno diffuso anche nella lingua quotidiana: “tic-tac”, “din-don”.
OSSIMORO. Dal greco oxýmoron, composto da oxýs (= “acuto”) e moròs (= “ottuso, stolto”). Figura retorica consistente nell’accostamento di due termini i cui significati sembrano escludersi a vicenda. Ad es. in Giusti: “Sentia nel canto la dolcezza amara”. O in Rebora: “Sinistro rumor di silenzio”.
PARONOMASIA. Figura morfologica consistente nell’avvicinare in un breve spazio sintattico due o più parole fonicamente simili ma dal significato diverso. Ad es. in Dante: “ch’i’ fui per ritornar più volte volto“; oppure in Montale: “Trema un ricordo nel ricolmo secchio”.
POSIZIONE. Espressione equivalente a “sillaba metrica”, purché si tenga ben presente che essa non coincide col concetto di sillaba grammaticale. Infatti, per effetto delle figure metriche e delle leggi ritmiche (vedi ritmo), una posizione può essere occupata da più sillabe o da nessuna, e una sillaba grammaticale può dar luogo a due posizioni. Nella metrica italiana l’ultima posizione si identifica con l’ultima sillaba tonica: così l’ultima posizione dell’endecasillabo è costituita dalla decima sillaba (necessariamente tonica). Dopo questa posizione, in qualunque specie di verso, si conta una sillaba atona, anche se questa fisicamente non ci fosse (parola tronca) o ve ne fossero più di una (parola sdrucciola o bisdrucciola).
RIMA. È l’identità di fonemi tra due o più parole, a partire dall’ultima vocale tonica (es.: “fiore / amore”). È detta rima interna o rima al mezzo quando cade tra una parola finale di verso e una parola interna a un altro verso. Per secoli è stata un punto di riferimento fondamentale per la stessa organizzazione delle forme strofiche (vedi strofa), mentre oggi ha un’importanza relativa. In base al tipo di parola finale del verso, si distingue in piana, tronca, sdrucciola, bisdrucciola (quest’ultima però è molto rara).
RITMO. È il movimento creato dall’andamento degli accenti all’interno del verso. Questo andamento può rendere ritmicamente differenti versi metricamente uguali. Ad esempio un endecasillabo può avere gli accenti sulle sillabe 1-4-6-8-10, oppure 2-4-6-8-10, o ancora 3-6-8-10, ecc.
SETTENARIO. Verso di sette sillabe metriche o posizioni, con accento fisso sulla sesta posizione e uno o due accenti mobili sulle prime quattro. Si alterna spesso all’endecasillabo, come nella canzone leopardiana A Silvia.
SIMILITUDINE. Figura retorica fondamentale, da cui tradizionalmente deriva per abbreviazione la metafora. Consiste nell’esprimere un’idea mediante il suo accostamento a un’altra idea che abbia con la prima un rapporto di somiglianza esplicitamente descritto. Ad es. in Pascoli: “quando partisti, come son rimasta! / come l’aratro in mezzo alla maggese”.
SINEDDOCHE. Figura retorica affine alla metonimia, dalla quale si distingue perché il rapporto fra il termine impiegato e quello sostituito non è di tipo qualitativo (logico) ma quantitativo. Si ha dunque sinèddoche quando si usa:
SINERESI. Figura metrica consistente nella fusione di due vocali grammaticalmente distinte (cioè in iato) in corpo di parola. Ad es. in Leopardi: “ed erra l’armonia per questa valle”, dove -ia di “armonia” è grammaticalmente uno iato e andrebbe pertanto distinto, ma rientra nella stessa posizione. La sinèresi è di solito proibita in due casi: 1) alla fine del verso; 2) quando una vocale aspra (a, e, o) è seguita da una qualunque vocale accentata (vedi dieresi).
SONETTO. Forma poetica antichissima, e forse la più usata nella poesia italiana tradizionale, a partire dalla “scuola siciliana”. Si compone di due quartine (con schema di rime ABAB ABAB oppure ABBA ABBA) e due terzine (con vari schemi di rime: CDE CDE, CDE EDC, CDC CDC, CDE DEC, ecc.).
STROFA. Termine che indica un raggruppamento di versi caratterizzato: 1. dal tipo di versi usati 2. dal numero dei versi 3. dalla disposizione delle rime.
TERNARIO. Verso di tre sillabe metriche o posizioni (detto anche “trisillabo”), solitamente combinato con altri versi più lunghi. Da solo e in serie è invece usato raramente.
VERSI LIBERI. Con questa espressione si indica generalmente una successione di versi non riconducibili a misure tradizionali, com’è per gran parte della poesia contemporanea. Tuttavia la stessa espressione è valida anche per un insieme di versi che metricamente sono tradizionali ma non ubbidiscono a schemi strofici o a concatenazioni di rime tradizionali. Per il primo caso possiamo citare, tra i numerosissimi esempi, I fiumi di Ungaretti; per il secondo, La pioggia nel pineto di D’Annunzio.
VERSO. Sequenza (cioè successione ordinata) di parole, e quindi di sillabe, caratterizzate da un ritmo ben definito. Il computo sillabico è però regolato dalle figure metriche, per cui la lunghezza dei singoli versi può presentare oppure no coincidenza tra sillabe grammaticali e posizioni.
ZEUGMA. Figura grammaticale consistente nel far dipendere da un solo verbo più termini o espressioni che richiederebbero ciascuno un verbo proprio. Ad es. in Dante: “parlare e lagrimar vedrai insieme” (dove vedrai si adatta in realtà soltanto a lagrimar); oppure in Leopardi: “Porgea gli orecchi al suon della tua voce / ed alla man veloce / che percorrea la faticosa tela” (in cui ovviamente la man veloce non può produrre sulla tela un gran frastuono).