La letteratura italiana si sviluppa solo nel Duecento, in ritardo rispetto alle altre esperienze letterarie europee, per diversi motivi storici e culturali. Essa nasce contemporaneamente in regioni geografiche assai distanti e realizza ideali e spiritualità attraverso opere e Personaggi molto diversi tra loro; si caratterizza per una continua evoluzione ditemi e di generi, dei quali molti si innestano sul patrimonio culturale dei secoli precedenti. Il volgare si impone per opera della borghesia, impegnata nelle attività comunali, finanziarie e mercantili, e per l’impulso dato da notai e giudici, costretti dalla pratica professionale a usare la nuova lingua oltre al latino.
Prosa
La prosa in volgare nasce a Bologna e in Toscana; continua comunque anche la produzione di testi colti in latino e di sporadiche opere in francese, secondo una moda letteraria che sta declinando. Nell’età comunale hanno particolare diffusione le cronache, i resoconti di viaggio e la novellistica, generi destinati alla nuova società che, dopo lunghi secoli di analfabetismo o di tradizione culturale orale, si mostra avida di conoscenza. La narrativa e la trattatistica ricevono un notevole impulso dall’opera di Dante, con la Vita Nuova e il Convivio, offre un chiaro esempio di prosa illustre; subito dopo, Boccaccio testimonia col Decameron caratteristiche linguistiche di immediatezza e di espressività.
Nel Medioevo spesso la narrazione storica attribuisce gli avvenimenti alla volontà provvidenziale di Dio, per cui le storie hanno il sapore di leggende, cioè di rielaborazioni fantasiose, oppure sono cronache, vicine all’esperienza diretta dei lettori. Queste ultime, assai numerose nell’età comunale, sono redatte in latino e in volgare ed evidenziano una particolare attenzione ai fatti contemporanei e alle vicende politiche interne delle singole città.
A Milano rappresenta bene gli eventi e gli atteggiamenti della classe media Bonvesin da la Riva (1240 ca-1313 ca), frate laico dell’Ordine degli Umiliati e insegnante di latino. Nel 1288 compone un trattato e panegirico in latino, Le meraviglie di Milano, personale rappresentazione storica, economica e sociale della città, travagliata dalle lotte tra i Visconti e i Torriani, che insidiano la libertà comunale. Sempre in latino, ma con forti accenti padani, è la Cronica del francescano Salimbene de Adam, parmense, che registra con tono arguto gli avvenimenti e i personaggi dal 1221 al 1287.
Dal sec. XII Firenze diventa un importante centro culturale e teatro di lotte politiche e sociali. Queste sono diffuse in opere storiografiche che cercano di superare il genere della cronaca cittadina per diventare documentazione di fatti reali, economici e politici che coinvolgono più città e ai quali spesso gli autori partecipano in prima persona. La Storia fiorentina è la prima in volgare ed è attribuita a Ricordano Malispini che rievoca le vicende della sua città dalle favolose origini fino al 1286; l’opera viene poi continuata da altri. E in tre libri la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi di Dino Compagni (1255-1324) — guelfo fiorentino di parte bianca — che in uno stile concitato, violento e polemico, racconta le vicende della sua città dal 1280 all’impresa di Arrigo VII in Italia (1312). La sua Cronica dimostra interesse storico, morale e religioso; è l’opera di un educatore politico che indica ai fiorentini un alto modello di vita civile, ma l’autore non può narrare serenamente, perché gli avvenimenti storici hanno travolto la sua vita e distrutto i suoi ideali.
Dodici sono i libri della Cronica di Giovanni Villani (morto durante la peste del 1348), anch’egli fiorentino, ma guelfo di parte nera. L’opera è notevole perché i fatti sono narrati e giudicati con imparzialità, ordine, esattezza e ricchezza di informazioni economiche, finanziarie, demografiche. Lo stile pacato e analitico è dovuto a una visione provvidenziale e finalistica della storia.
La Cronica di Anonimo romano (che comprende la Vita di Cola de Rienzo) è redatta in volgare romanesco e narra le vicende tra il 1325 e il 1357. Lo stile è asciutto, gli avvenimenti sono descritti senza tensione morale, ma con comprensione per le azioni umane e con un’implicita condanna della corruzione degli ecclesiastici. Martino da Canale nella Cronaca dei veneziani (Croniques des Veniciens) narra in francese la storia della sua città dalle origini al 1275.
Sono in volgare e hanno un fine pratico il Libro dei banchieri fiorentini (1211), il Fiore di retorica di Guidotto da Bologna, il Libro della composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo. Guido Faba con la Gemma purpurea (1240) e i Parlamenti ed epistole presenta eleganti modelli di lettere e discorsi in volgare, accanto a esempi di retorica latina.
Vicina alla lingua parlata è la prosa di alcuni romanzi di grande successo ispirati alla letteratura bretone: la Tavola Rotonda di un anonimo fiorentino della fine del Duecento e Il re Meliadus di Rustichello da Pisa, in lingua franco-veneta.
In francese è composto il Milione del veneziano Marco Polo (1254-1324), il quale nel 1298 detta a Rustichello da Pisa, in un carcere genovese, un resoconto del suo viaggio e del soggiorno in Cina, durati ventiquattro anni. Gli usi e i costumi asiatici e la personalità del Gran Khan sono descritti in modo realistico, con gli occhi di un mercante che analizza dal proprio punto di vista, occidentale e cristiano, il mondo orientale, tanto lontano dalla cultura e dall’ etica medievali. Novelle e racconti godono del favore del pubblico; il Libro dei sette savi e le Mille e una notte, traduzioni di testi orientali, ispirano l’anonimo autore del Novellino (che risale alla fine del Duecento). Questi elabora con cura stilistica e destina a un pubblico di ‘cuori gentili e nobili’, motti di spirito e brevi racconti, ambientati in un mondo fiabesco di azioni cortesi, di strani amori e di leggende. La grande diffusione della raccolta è testimoniata dalle numerose edizioni a stampa (sec. XVI).
La tematica religiosa è ispirata da appassionato ardore; molti predicatori e mistici si impegnano in opere che tendono alla persuasione morale, oppure offrono meditazioni sulle miserie del mondo, sulle pene dell’inferno e sull’esaltazione del Paradiso. Sono in latino le Prediche per le domeniche e le festività di Sant’Antonio da Padova (1195-1231) che esprimono un fervore aspro, molto diverso dall’ascetismo francescano che invece è celebrato nei Fioretti di San Francesco. Quest’opera è il volgarizzamento di un testo latino duecentesco con proposte di esempi di evangelica povertà e visioni idealizzate dell’esistenza.
Infine Santa Caterina da Siena (1347-80) si dedica all’assistenza ai poveri e ai lebbrosi, osserva serenamente la vita degli uomini, predica la pace tra gli Stati e in modo accorato sollecita il ritorno del Papato in Italia (infatti Gregorio XI nel 1377 lascerà Avignone). Il suo Epistolario è ricco di testimonianze: lettere indirizzate ai politici del tempo su riflessioni ascetiche e richiami spirituali, in uno stile talora elevato, talora colloquiale. Conclude la sua esistenza terrena con l’opera mistica Dialogo della divina Provvidenza (1378).
Poesia
Il Duecento presenta una grande fioritura di composizioni poetiche che risentono dell’atmosfera culturale provenzale: attraverso l’opera dei trovatori e dei giullari le letterature in lingua d’oc e d’oil diventano modello per i temi e gli schemi metrici e formali; nella nostra produzione si abbandona l’accompagnamento musicale, a esclusivo vantaggio della parola. La poesia italiana è caratterizzata da una grande vivacità di contenuti e forme: l’amor cortese e la vita popolare ricorrono in numerose composizioni; in Umbria una profonda spiritualità è espressa nel Cantico di San Francesco; in Sicilia Giacomo da Lentini elabora il sonetto per raffinate liriche; a Bologna e in Toscana si pongono le basi dello Stilnovo, in cui Dante troverà ispirazione.
San Francesco (1181-1226) figlio di un ricco mercante, vive una giovinezza allegra in un ambiente sfarzoso, fino alla crisi spirituale. Nel 1206 rinuncia ai beni paterni di fronte al vescovo d’Assisi e si dedica alla cura dei lebbrosi; il suo esempio è imitato da numerosi seguaci e organizza secondo una Regola approvata da Innocenzo III nel 1210. Due anni dopo è istituito l’Ordine francescano femminile delle Clarisse e Francesco riceve in dono il monte della Verna che diviene luogo di eremitaggio. Hanno inizio quindi le sue missioni religiose in Europa e in Africa; nel 1219 è in Siria e Terra Santa, dove incontra il sultano. Tutta la vita è improntata alla presenza concreta del Vangelo (sua è l’invenzione del presepio) e alla scelta della povertà vissuta come condizione naturale. Nel 1224 riceve le stimmate e poco prima della morte compone in volgare umbro il Cantico delle creature (o Lauda o Laudes creaturarum
o Cantico di Frate Sole), preghiera in prosa ritmica, che presenta una serie di versi di lunghezza variabile e collegati da assonanze. La Lauda ha un alto significato ideale e l’ardore che la anima è mistico: l’uomo diventa umile, si sente unito a tutte le creature e si confonde con la natura, lasciando ogni orgoglio e innalzando a Dio un cantico d’amore. La Terra, disprezzata e fuggita dagli asceti medievali, è per Francesco il dono di Dio all’uomo; il Creato è la Sua orma ed è guardato dal Santo con gratitudine e stupore giocondo.
Il genere della lauda (componimento poetico in volgare di argomento religioso, sorto in Umbria nel Duecento) è assai diffuso nel sec. XIII. Tra gli autori emerge Jacopo de’ Benedetti, detto fra’ Jacopone da Todi (1230-1306), notaio, che in seguito a una crisi spirituale lascia la professione. Dopo aver trascorso dieci anni di penitenza, umiliandosi e vagando come mendicante, entra nel 1278 nell’Ordine francescano ed è vicino al gruppo più intransigente degli Spirituali. Jacopone svolge una dura polemica contro la corruzione della Chiesa e si oppone all’elezione di Bonifacio VIII che lo scomunica e lo fa imprigionare. Riottiene la libertà e la revoca della scomunica solo tre anni prima della morte da papa Benedetto XI. Gli viene attribuito l’inno sacro latino Stabat mater e un centinaio di laude in cui, maledicendo con violenza i vizi umani ed elogiando le virtù ascetiche, fa emergere il suo temperamento estremista. In O iubelo del core esalta l’amore mistico; Omo, mittete a pensare è una sarcastica visione del mondo; Donna de Paradiso è un dialogo drammatico in cui è rievocata la crocifissione di Gesù e il dolore struggente della Madonna.
Numerosi Laudari (raccolte di laude) sono di autori sconosciuti e testimoniano la fede e la devozione popolari. Molte composizioni sono dialogate come piccoli drammi (laude drammatiche) e recitate nelle ricorrenze cristiane; costituiscono le forme embrionali del teatro religioso, dalle quali deriveranno le sacre rappresentazioni.
La poesia d’arte italiana si sviluppa intorno al 1230 in Sicilia, presso la corte — Magna Curia — di Federico a di Svevia che qui realizza la Scuola siciliana, un centro di cultura frequentato da intellettuali cristiani, ebrei e musulmani. In questo ambiente signorile e raffinato si adotta il volgare per rielaborare i temi della poesia provenzale, della quale si ripetono motivi e immagini escludendo però i riferimenti alla società e alla cronaca. La donna, oggetto di devozione cavalleresca, è descritta come un essere superiore, distaccato e perfetto, al quale il poeta si inchina con atteggiamento umile. I poeti della Scuola siciliana (tra cui lo stesso sovrano, nobili, burocrati e funzionari colti) sono lontani dalla genuina ispirazione dei trovatori provenzali, ma le loro composizioni testimoniano l’impegno a produrre liriche elaborate nei temi e nelle forme. La lingua poetica utilizzata è il volgare siciliano illustre, che riprende il lessico latino e le forme provenzali: il tentativo di creare una lingua letteraria e di cultura, pur mantenendo elementi dialettali. Tuttavia i testi si diffonderanno non nella forma originale, ma in copie toscanizzate.
Jacopo da Lentini, notaio di corte (di cui si hanno documenti nel 1233-40), è il caposcuola della lirica d’arte. Sperimentatore del sonetto, è un poeta raffinato e ricercato nel descrivere la figura femminile, che appare bionda, dall’incarnato chiaro e dallo sguardo luminoso, ma distaccata e lontana dall’amore, come nella canzonetta Meravigliosamente.
Pier della Vigna (1190 ca- 1249), notaio e segretario di Federico II, celebrato da Dante nel canto XIII dell’inferno, compone in volgare le poesie amorose, ma in latino scrive lettere stilisticamente raffinate. Rinaldo d’Aquino nella canzonetta Già mai non mi conforto esprime il dolore di una fanciulla per la partenza dell’uomo amato al seguito della crociata. Intensa è l’attività letteraria tra il 1243 e il 1280 del giudice messinese Guido delle Colonne, autore della lirica amorosa Gioiosamente io canto e di canzoni di impegno dottrinale.
Stefano Protonotaro lascia Pir meu cori alligrari l’unica canzone conservata integralmente nell’originale siciliano, senza alcuna alterazione dovuta ai copisti toscani. Le forme e i temi siciliani vengono continuati e arricchiti in Emilia e Toscana, nei modi tipici del realistico linguaggio quotidiano.
Guittone d’Arezzo (1235-94) è un guelfo impegnato nell’attività politica; quando il suo partito viene sconfitto, entra nell’Ordine dei Cavalieri di Santa Maria e si dedica alla letteratura. La produzione poetica segue le fasi della sua vita: una parte delle Rime è costituita da composizioni d’amore ispirate ai temi provenzali e siciliani, elaborate prima della conversione; dopo la sconfitta di Montaperti si dedica ad argomentazioni politiche, morali e religiose, nelle quali, innalzandosi a giudice, inveisce contro la corruzione e la decadenza della società.
Appare nella seconda parte del Duecento la manifestazione più alta e matura della lirica: il dolce stilnovo, così definito da Dante nel canto XXIV del Purgatorio. Il termine Stilnovo indica un modo esclusivamente spirituale di intendere l’amore e un nuovo canone stilistico e artistico. L’espressione dantesca dolce definisce una lirica che raffigura l’amore spiritualizzato e interiorizzato attraverso uno stile terso e musicale, in contrapposizione allo stile aspro e sottile della poesia didattica e dottrinale.
Di questa raffinata scuola poetica sono profondamente innovativi il concetto di amore, la rappresentazione della donna, la poetica e lo stile; tutti elementi che, pur ereditati dalla lirica cortese, vengono rielaborati con una più accentuata spiritualizzazione. Si dissolvono infatti gli aspetti materiali dell’amore, il quale diventa lo strumento di elevazione verso Dio (salvo
che per Cavalcanti): l’uomo è coinvolto in un continuo processo teso al raggiungimento della perfezione morale. L’uomo innamorato è illuminato dalla donna, nella quale risplende l’intelligenza di Dio. La bellezza femminile è la rivelazione esteriore di profonde virtù, è la bellezza dell’anima che si manifesta nello sguardo; la donna-angelo perde quindi le connotazioni fisiche e sensuali, il suo saluto è un dono d’amore e un conforto. Questa bellezza spirituale è compresa dai ‘cuori gentili’, i soli che possono intendere la nobiltà e la spiritualità dei sentimenti. Per gli stilnovisti infatti la nobiltà è una virtù morale individuale e non indica una condizione sociale di nascita privilegiata e vissuta con orgogliosa superiorità.
L’iniziatore dello Stilnovo è Guido Guinizelli (1240 ca-76), bolognese, giurista, impegnato politicamente nella fazione ghibellina e morto in esilio. La canzone Al cor gentil rempaira sempre amore è considerata il manifesto della nuova poetica nella quale si celebrano la donna-angelo e la nobiltà (identificata nella gentilezza); oltre a questi valori il poeta descrive gli effetti del saluto dell’amata nel sonetto Io voglio del ver la mia donna laudare.
Il nuovo stile passa ben presto da Bologna a Firenze, dove si costituisce un piccolo cenacolo di autori i cui maggiori esponenti sono Dante, nei suoi anni giovanili, i suoi amici Cavalcanti e Lapo Gianni.
Guido Cavalcanti (1260ca-1300) è nobile, di cultura raffinata; impegnato tra i Guelfi bianchi e politicamente intollerante, pur essendo amico di Dante viene da lui esiliato nel 1300, allo scopo di favorire la pace politica. Il dolore per la lontananza dagli affetti è descritto nella ballata Perch’i’ no spero di tornar giammai. Nelle sue poesie l’amore è non solo mezzo di elevazione, ma anche forza tragica che sconvolge la vita dell’uomo. Il tema della canzone Donna me prega è difficile: la donna ha una forza magica che costringe l’uomo a ‘servire’; la passione è violenta e irrazionale, per cui il poeta rimane ‘dubbioso’ e ‘distrutto’ dall’esperienza amorosa.
L’intensa attività lirica di questi secoli non si limita a esprimere temi spirituali, ma si accosta anche alla realtà cogliendo gli aspetti popolari, volgari e burleschi della quotidianità plebea. La poesia comico-realistica in volgare continua la tradizione che risale ai giullari, ai clerici vagantes, alle composizioni latine della goliardia universitaria.
Rustico Filippi, morto alla fine del sec. XIII, è tra gli iniziatori del genere scherzoso, testimoniato da sessanta sonetti amorosi o burleschi: allo stile indignato e sarcastico accosta momenti di umanità e di malinconia.
Cecco Angiolieri, nato nel 1260 in una nobile famiglia di banchieri senesi, conduce una vita dissipata e irrequieta, narrata in una novella del Boccaccio (Decameron IX, 4). La realtà della sua vita quotidiana è presente nei sonetti, nei quali, con grande abilità stilistica, selezionai temi dello Stilnovo e della lirica amorosa parodiandoli e dissacrandoli: in Becchin’ amor! Che vuo’, falso tradito? alla donna-angelo contrappone la volgare figlia di un cuoiaio. In Tre cose solamente m ‘enno in grado esalta la donna sensuale, taverna, il gioco. Al padre e alla madre, accusati di essere avari e di condurre una vita morigerata e cristiana, sono indirizzate invettive ciniche e apocalittiche in S’i’ fosse foco, arderei ‘i mondo.
Folgére da San Gimignano intorno al 1309 compone Corona dei mesi, una serie di sonetti nei quali invita una lieta brigata di nobili cortesi a divertimenti e piaceri appropriati a ciascun mese dell’anno.
Il genere realistico è rappresentato in Sicilia nel sec. XIII da Cielo d’Alcamo che nel contrasto (componimento in forma di dialogo) Rosa fresca aulentissima descrive il dialogo tra un cavaliere e una donna che dapprima si oppone, ma con poca convinzione, poi cede alle proposte amorose dell’intraprendente corteggiatore.
Letteratura didattico-allegorica
In Toscana si sviluppa anche la letteratura didattico-allegorica, che tratta in volgare temi morali e religiosi, immaginari viaggi nell’Aldilà e visioni mistiche. In questo genere è evidente l’influsso della cultura francese, soprattutto del Romanzo della Rosa che costituisce un riferimento importante anche per la Divina Commedia di Dante. A quest’ultimo viene anche attribuito il Fiore, una collana di sonetti che rielabora liberamente il Romanzo della Rosa. Contemporaneo è l’Intelligenza, poema allegorico anonimo in cui è descritto un meraviglioso palazzo orientale (allegoria del corpo umano) governato da una bellissima Madonna: l’Intelligenza.
Il principale erudito toscano è Brunetto Latini (1220 ca-94), notaio, guelfo, impegnato nella vita politica fiorentina, che Dante rievoca nel canto XV dell’Inferno. Latini, maestro di Dante (‘cara e buona immagine paterna’) è un uomo di vastissima cultura che insegna ‘come l’uom s’etterna’ attraverso le opere. Dopo la sconfitta di Montaperti (1260) si stabilisce in Francia e compone in lingua d’oiI il Trésor, un’enciclopedia in prosa d’astronomia, geografia, filosofia morale, retorica, politica ed economia. La materia del testo è poi ridotta in un poema allegorico in volgare toscano, conosciuto come Tesoretto, al quale segue il poemetto Favolello, consigli pratici e precetti morali in forma di epistola sull’amicizia.
Bibliografia
- I poeti del Duecento. Ricciardi, Milano-Napoli, 1960.
- Poesia dell’arte cortese, Accademia, Milano, 1961.
- Storia della letteratura italiana, Anna Maria Vanalesti, Società Editrice Dante Alighieri, 1993.