Cielo sesto o di Giove. Spiriti giusti
Dante ha ora di fronte a sé l’immagine grandiosa di un’aquila contesta di tante anime beate: ognuna sembra un piccolo rubino che riflette negli occhi del poeta la luce del sole. L’aquila simbolo della giustizia che deve essere la virtù fondamentale degli uomini al comando dell’impero e del potere politico, parla al singolare come un individuo dotato di vita personale non come l’aggregato di tante anime. Mentre parla, il becco si apre e si chiude. Simbolicamente Dante fa parlare, uniti in una sola indivisibile entità, tutti i grandi che fecero l’Impero attraverso l’esercizio della giustizia. In terra, essa dice, esercitai giustizia e misericordia: perciò ora sono qui innalzata alla gloria celeste, in terra lasciai tale ricordo di me che perfino i malvagi e gli ingiusti lodano le mie imprese, ma non seguono il mio esempio. intanto Dante è assalito da un forte dubbio, che d’altra parte lo tormenta da molto tempo e a cui in terra non ha potuto trovare risposta; e lo espone ai beati che gli appaiono come perpetui fiori della beatitudine eterna: coloro che per impedimento indipendente ‘dalla loro volontà non conobbero la fede cristiana devono essere dannati? Colui che nasce sulle rive dell’Indo, dove non è chi parli, insegni o scriva di Cristo, deve essere inviato all’inferno, nonostante la nobiltà la positività della sua vita morale, nonostante la ricchezza della sua vita intellettuale? Il cristianesimo dice che l’uomo si giustifica solo per la fede in Cristo: ma è giusto che Dio condanni i bambini morti senza battesimo o gli uomini che furono giusti ma non conobbero la fede? Alla domanda del poeta l’aquila come falcone che liberato dal cappuccio muove la testa ed agita le ali, esprimendo così la sua smania di volare, rivela attraverso il suo dolcissimo canto la gioia di soddisfare la richiesta di Dante. Poi così argomenta: «Dio che traccia i confini dell’universo, alcune cose ‘rendendo visibili, altre lasciando occulte, non poté ‘imprimerci la sua potenza creativa in termini tali che le cose fossero chiare ‘espressioni dell’intervento creativo; le cose create sono, nonostante tutto, sempre inferiori allo” stampo del Creatore o. Ne è una testimonianza il fatto che Lucifero, insofferente per superbia, .non attese di essere perfezionato e cadde nell’inferno, immaginarsi poi se le creature che furono create inferiori a Lucifero sono in grado di comprendere l’incommensurabile bene divino. C’è un abisso di differenza quantitativa e qualitativa tra l’intelligenza del Creatore e quella delle creature: queste raggiungono solo ciò che loro sì offre attraverso l’esperienza sensibile. A capire questo concetto valga un esempio: l’occhio dell’uomo vede il fondo del mare stando sulla riva, non lo vede più se si trova in alto mare; non c’è dubbio che anche lì c’è un fondo, che però la ,profondità marina sottrae alla vista. Così l’intelletto dell’uomo:, può vedere solo quando è soccorso dalla Grazia, e solo quel tanto che questa gli illumina. Non si stupisca il poeta, perciò, se anche a proposito del suo ultimo dubbio non è in grado di penetrare le segrete decisioni della giustizia divina. E poi non dimentichi Dante che anche egli è uomo come gli altri, limitato e ottenebrato, e non presuma di poter spaziare oltre i confini consentiti. Sarebbe un presuntuoso se volesse salire sul seggio del giudice per giudicare di cosa infinitamente lontana dalla sua intelligenza umana, quando si sa che l’uomo ha una vista che non va al di là di un palmo? Certamente per colui che ragionando del mistero della giustizia fa sottili questioni ci sarebbe motivo di dubitare, se a guidare gli uomini non ci fosse però la Sacra Scrittura.’ è la Rivelazione a dare certezza e ad invitare a dubitare dell’apparenza. « Oh uomini che vivete come bruti! oh menti ottuse! La volontà’ divina che è buona per se stessa non si mai allontanata dal suo principio che è il sommo Bene. È giusto tutto ciò che si conforma alla volontà divina: nessun bene creato può attrarre a sé la volontà divina, anzi essa, irraggiandosi sulle cose, genera in esse il bene ». (La risposta dell’Aquila non si affida ad argomenti razionali: è piuttosto un invito deciso a credere’ nella bontà di Dio che è sicuramente giusta: il dubbio non può essere risolto ed un credente deve solo assoggettarsi anche perchè persuaso della propria limitatezza). Come la cicogna dopo aver nutrito i suoi piccoli vola sul nido ed intanto il cicognino sazio volge gli occhi a lei, così’ fece l’Aquila. Mosse le ali e il poeta alzo verso di lei gli occhi. Poi aggiunse: è vero, in paradiso giungono solo coloro che credono o credettero in Cristo. Ma è anche certo che la Grazia divina agisce per vie imperscrutabili. Nel giorno del giudizio saranno da lui molto più lontani dei pagani quei molti cristiani che invocano ad ogni momento Cristo e dentro di loro lo respingono. Anche un etiope infedele potrà condannare cristiani di nome ma non di fatto quando nel giorno del giudizio si divideranno le due schiere. Allora aperto il libro dove Dio registra i meriti e le colpe di ogni uomo si leggeranno tra i nomi dei cristiani falsi quelli dei cattivi principi d’Europa: di Albert
di Asburgo, che invase il regno di Boemia, di Filippo il Bello, che coniò monete false, dei re di Inghilterra, di Scozia, di Spagna, di Carlo Il d’Angiò, di Giacomo II di Aragona dei re del Portogallo e di Maiorca, della Croazia e della Norvegia.