La letteratura italiana ha le sue radici nella cultura latina, dalla quale si distacca nel Medioevo in seguito a numerosi sconvolgimenti politici e sociali che modificano profondamente la nostra penisola. In questo periodo la lingua latina perde il carattere di universalità all’interno dell’Impero, a favore della formazione di nuove lingue locali e, conseguentemente, di nuove letterature che esprimono le diverse realtà politiche e culturali.
476 il 4 settembre: Odoacre depone Romolo Augustolo; caduta dell’Impero Romano d’ Occidente.
568 Discesa dei Longobardi in Italia.
768-814 Regno di Carlo Magno, che diviene l’unico sovrano dei Franchi; conquista in Italia del Regno longobardo; a Natale dell’800 papa Leone III incorona Carlo imperatore del Sacro Romano Impero.
814-843 Lotte tra i successori di Carlo Magno; l’Impero è diviso in Regno dei Franchi Occidentali (Carlo il Calvo), Regno dei Franchi Orientali o Teutonici (Ludovico il Germanico), Regno Centrale e Regno d’Italia (Lotario).
877 Capitolare di Quierzy: atto che stabilisce il diritto ai signori di trasmettere i feudi maggiori ai figli, per eredità diretta.
1037 Constitutio de feudis: estensione dell’ereditarietà anche ai feudi minori.
1044 Origine del Comune di Milano.
1076-77 Reciproca scomunica e deposizione di Enrico IV e Gregorio VII; l’imperatore si umilia e ottiene l’assoluzione a Canossa.
1095 Pietro l’Eremita predica la prima crociata.
Il Medioevo (o ‘età di mezzo’ fra l’età classica e quella moderna) è il periodo storico compreso tra la caduta dell’Impero Romano (476) e la scoperta dell’America (1492). Questo periodo assai lungo viene suddiviso in alto Medioevo (secc. V-XI), caratterizzato dalle invasioni barbariche e dal feudalesimo, e basso Medioevo (dal sec. XII al Rinascimento), contraddistinto dall’istituzione dei Comuni e dall’affermarsi della borghesia comunale.
Nel corso dei secoli successivi numerosi saranno i giudizi e le interpretazioni sul concetto di Medioevo: gli umanisti lo definiranno in modo negativo, sottolineando la decadenza della civiltà classica e la rozzezza nelle lettere e nelle arti. La Riforma protestante (sec. XVI), impegnata nella lotta al Papato e alla Chiesa, considererà barbari questi secoli, perché dominati dal potere religioso e papale. Gli illuministi ribadiranno il giudizio di un’età barbarica, intollerante e oscura, che ha perduto i grandi insegnamenti e i valori della classicità, esaltati invece dal Rinascimento, epoca d’inizio della civiltà moderna; definiranno quindi il Medioevo ‘età del sonno della ragione’, in antitesi alla loro che è l”età dei lumi’. Nel corso dell’Ottocento i romantici individueranno in questa età l’origine delle nuove nazioni, interpretandola come un’epoca ricca di spirito religioso, eroismo cavalleresco e passione barbarica, contrapposta all’età rinascimentale, considerata fredda per l’esasperata ricerca di equilibrio e bellezza. Infine gli storiografi contemporanei distingueranno nel Medioevo momenti politici e culturali diversi: i regni romano-barbarici (fino al sec. VIII); il periodo del feudalesimo e della Rinascita carolingia (secc. IX-XII); il periodo comunale, delle crociate e dei commerci (secc. XII-XIV), evidenziando i caratteri propri di ogni epoca senza esprimere giudizi positivi o negativi.
Storicamente con l’anno 476 si indica la fine dell’Impero Romano e il passaggio dall’unità latina del mondo antico alle varie identità nazionali. Dal punto di vista linguistico da questa data prende avvio il distacco autonomo dal comune ceppo latino dei diversi linguaggi parlati dal popolo, attraverso un lungo processo che genera i volgari e che si concluderà attorno al sec. IX.
Tra i secc. V-IX l’Italia e l’Impero d’Occidente vengono travolti dalle invasioni di popoli barbari provenienti dalla Germania, dalle regioni danubiane e da quelle balcaniche. Tali invasioni frantumano l’unità dei mondo romano, evidenziandone la crisi economica, sociale, amministrativa e spirituale. Le città, più soggette delle campagne alle scorrerie barbariche, si chiudono allora entro cinta mura- ne fortificate; progressivamente la popolazione abbandona centri urbani per rifugiarsi in campagna e sopravvivere alle carestie, ma numerose epidemie (malaria e peste) sconosciute sino al sec. III riducono la popolazione; le terre incolte aumentano per la carenza di manodopera e i raccolti diventano più scarsi.
Le invasioni barbariche danno origine ai regni romano-barbarici o romano-germanici, primi nuclei delle future nazioni europee. Il processo di dissoluzione dell’unità imperiale dura alcuni secoli durante i quali i popoli barbari travolgono vecchie classi dirigenti e la cultura latina. I nuovi regni costituiscono comunque una sintesi tra il mondo barbaro, rozzo ma vitale, e la civiltà romana, più evoluta nella riflessione etico-religiosa e nell’organizzazione sociale e giuridica, delle quali infatti molto sopravvive nella gerarchia e nel sentimento della comunità sociale. Nel lungo periodo di violenze, stragi e distruzioni, operate durante le invasioni barbariche, le scuole e i centri culturali decadono e si interrompono comunicazioni tra città e regioni.
L’estesa sfiducia nei valori tradizionali accelera la diffusione del Cristianesimo dalle città ai centri minori e da questi alle campagne, in una lenta progressione. Il Cristianesimo, capovolgendo la concezione esistenziale del mondo, diventa un ulteriore fattore d’indebolimento e di disgregazione dell’unità imperiale romana. Per l’età antica infatti l’esistenza dell’uomo si esauriva nel mondo terreno, nel quale si ricercavano tutte le virtù: sapienza, forza, ricchezza. Il Cristianesimo propone invece una visione secondo la quale la vita solo una transizione verso la condizione spirituale ultraterrena. Perdono valore allora le virtù e i beni terreni, mentre sono esaltate la fede e la forza dello spirito; si impone l’idea di uguaglianza e di fratellanza degli uomini, indirizzati verso la comune meta celeste, unica sede della vera giustizia e della piena valutazione delle qualità umane.
Tra i secc. V-VI la Chiesa, organizzatasi come istituzione unitaria già dal sec. III, rappresenta per le masse popolari una fondamentale forza di coesione. A essa spettano numerosi compiti: amministrare vasti territori; conservare e tramandare la cultura; educare il personale ecclesiastico; proteggere e assistere moralmente e materialmente i fedeli. Gli ecclesiastici sono tra le poche persone che sanno leggere e scrivere; conoscono, studiano e divulgano le opere degli antichi e cercano faticosamente di mantenere in vita l’istituzione scolastica presso i centri religiosi. I cristiani diventano quindi gli eredi della tradizione culturale classica e del latino, parlato sempre meno diffusamente — a vantaggio dei dialetti locali regionali — e utilizzato solo dalla Chiesa per gli atti ufficiali.
Nel 385 Girolamo redige la Vulgata, traduzione dell’Antico e del Nuovo Testamento in un latino vicino al parlato. Questo testo, sia per forma che per contenuto, diviene modello linguistico e base della cultura occidentale medievale, che la Chiesa diffonde in Europa attraverso l’opera di evangelizzazione e di conversione dei popoli pagani. Tuttavia, per trasmettere più chiaramente il messaggio e i principi cristiani, durante il Concilio di Tours (813) si solleciteranno i sacerdoti alla predicazione nelle lingue popolari.
Il mondo antico si identificava nell’Impero Romano, nelle sue istituzioni, leggi, abitudini, storia letteraria e lingua, elementi di coesione di un territorio molto vasto. Nei primi secoli del Medioevo, con la crisi dell’unità politica, nella metà occidentale dell’Impero, si disgrega anche l’unità linguistica imposta dai Romani ed emergono progressivamente le lingue ormai comunemente parlate dalle popolazioni: i volgari. Queste nuove lingue (italiano, sardo, ladino, francese, provenzale, spagnolo, catalano, portoghese, romeno e dialetti a esse collegati) sono dette neolatine o romanze (da romanice loqui, parlare romano), perché prendono avvio dalla comune radice latina. La loro base non è però la lingua classica, elegante e colta — da cui sono ormai lontanissime e di cui non seguono più le regole grammaticali e stilistiche — bensì il latino volgare (da volgo, cioè popolo), che è la lingua parlata nei secc. II-VI dalle classi intermedie e diverse province dell’Impero. Sulle nuove lingue hanno un’influenza determinante anche le lingue parlate dai barbari invasori, che modificano il latino volgare con tanto maggiore efficacia quanto più numerosi sono i parlanti e quanto più lontani essi vivono dai centri della cultura antica.
Inoltre le lingue romanze appaiono molto differenti tra loro perché rappresentano la spontanea espressione delle varie località geografiche e delle diverse classi sociali che le parlano; sono quindi caratterizzate dal contributo delle eterogenee esperienze linguistiche e culturali della città, della provincia, del popolo incolto, dei contadini, dei soldati.
Non è possibile identificare un momento preciso in cui ciascuna lingua neolatina nasce: il lento processo di trasformazione linguistica avviene lungo i secc. V-IX, attraverso numerose generazioni, e potrà dirsi concluso con la produzione dei primi documenti scritti in volgare, quando esso sarà consapevolmente contrapposto al latino.
Il primo documento che testimonia da una parte l’avvenuta frattura linguistica tra i diversi popoli dell’ Impero carolingio, dall’altra la netta separazione tra le lingue romanze e quelle germaniche è il Giuramento di Strasburgo del 14 febbraio 842. Tale atto consiste in un patto di alleanza che gli eredi di Carlo Magno pronunciano in romana lingua (volgare francese) e in teudisca lingua (antico tedesco), per essere compresi dai rispettivi eserciti francofoni e germanofoni che, provenienti da territori lontani, non possono intendersi tra loro. In Italia le più antiche testimonianze di uso scritto del volgare risalgono ai secc. IX-X (Indovinello veronese e Placiti cassinesi).
Solo più tardi le nuove lingue parlate dal popolo ed elaborate nel corso dei secoli inizieranno a essere usate non solamente per scopi pratici, ma anche con finalità artistiche prosa e in poesia. In Italia, dove si parlano numerosi volgari regionali e locali così differenziati tra loro che la comunicazione risulta spesso difficile, gli intellettuali si sforzeranno allora di rendere il proprio dialetto scritto comprensibile anche nelle altre regioni, nobilitandolo, affinandolo ed escludendo i tratti più vistosamente particolari. Uno di questi volgari, il fiorentino, diverrà illustre nel sec. XIII per merito di Dante, Petrarca e Boccaccio, le cui opere saranno modelli di lingua e di stile per i secoli successivi.
La tensione degli autori per l’uso e l’affermazione della lingua volgare non fa comunque abbandonare il latino, che rimane lo strumento privilegiato di comunicazione degli uomini di cultura, laici e religiosi, e dei politici del Medioevo. La tradizione classica viene salvaguardata durante le invasioni barbariche e gli sconvolgimenti politici grazie alle numerose trascrizioni eseguite a mano e sotto dettatura dagli amanuensi nelle sale di scrittura (scriptoria) dei monasteri, nelle scuole, nei centri di cultura. Parte del patrimonio antico però si perde; molte opere vengono volutamente ignorate, perché le tematiche non sono considerate importanti; di altri testi inoltre si travisa il contenuto perché l’ignoranza della lingua greca causa errori di traduzione e di interpretazione.
Codici e Scritture
La cultura antica è affidata ai libri manoscritti, molto diversi nel materiale da quelli moderni. Prima dell’invenzione della stampa il libro si chiama codice (dal latino codex): è costituito da fogli di pergamen
a (derivata dalla pelle di pecore e capre), tagliati, piegati e cuciti insieme nella forma del libro attuale ed è completato da una copertina in pelle, talora decorata e impreziosita da gemme. I fogli sono scritti con l’inchiostro, per mezzo di penne d’oca. Numerose sono le grafie utilizzate dagli amanuensi: tra le più importanti la scrittura minuscola carolina (adottata nella corte di Carlo Magno); la curiale (della Curia romana); la beneventana (elaborata nel monastero di Montecassino e continuata nel longobardo Ducato di Benevento); su tutte queste s’impone la scrittura carolina, assai diffusa, che, variamente modificata nel corso dei secoli e definita scrittura gotica dagli umanisti, rimarrà in uso per secoli.
La produzione di libri è limitata: i possessori sono i monasteri (che conservano i codici nelle biblioteche, aperte agli studiosi), le sedi vescovili, gli intellettuali, le università. I modelli laici e cittadini della cultura scritta latina sono affidati alla classe dei notai e dei giuristi. I luoghi più importanti della cultura medievale sono i monasteri che, accanto alla contemplazione religiosa e al rifiuto delle mondanità, conservano e diffondono la cultura classica e cristiana: in Italia sorge nel 529 l’abbazia di Montecassino, frequentata da sovrani, letterati e mistici; nel 612 a Bobbio l’irlandese San Colombano fonda un centro, modello educativo per tutta Europa e per la corte longobarda. L’imperatore Carlo Magno nel palazzo di Aquisgrana riunisce intellettuali e artisti, anima un circolo (detto Accademia palatina) e istituisce la Scuola palatina, diretta da Alcuino di York, che contribuisce a salvare il patrimonio classico pro- muovendo l’istruzione, l’educazione linguistica e letteraria della nobiltà e una più accurata formazione del clero.
Nel sec. vi Severino Boezio e Aurelio Cassiodoro elaborano il sistema delle Arti liberali, discipline educative pertinenti all’uomo ‘libero’ dal lavoro manuale e prive di finalità economiche. Sono distinte in arti del Trivio, (a carattere letterario-linguistico: grammatica, retorica e dialettica) e del Quadrivio (scientifiche: matematica, geometria, musica e astronomia).
La grammatica è la disciplina fondamentale delle scuole che, a partire dai secc. VII-VIII, si rinnovano nelle città (Milano, Ravenna, Verona, Pavia, Roma), presso le corti barbariche (di re Teodorico a Verona, dei Longobardi a Pavia) e soprattutto presso i centri culturali religiosi (monasteri e conventi).
Dalla fine del sec. VIII in Francia viene elaborato un sistema complesso di organizzazione sociale, economica e politica: il feudalesimo, diffuso poi dai Franchi in tutto l’Impero carolingio. Il feudalesimo consiste in una fitta rete di rapporti che collegano il sovrano, vertice del potere, ai nobili-vassalli, ai quali egli concede il beneficio di sfruttare le risorse terriere (feudo, da feudum, latinizzazione di un termine tedesco che indica una ricchezza in natura) ricevendo in cambio fedeltà e aiuto militare. I vassalli a loro volta possono cedere a vassalli minori (valvassori) parti del proprio feudo, e così via. Inizialmente il re può revocare il diritto di sfruttamento, ma già dal sec. IX i vassalli considerano proprietà personale i feudi, che ottengono di trasmettere in eredità ai propri discendenti; dal 1037 lo stesso diritto viene esteso ai feudi minori.
Nell’alto Medioevo, nel periodo feudale, la società è rigidamente divisa in tre ordini, dei quali il vescovo francese Adalberone di Laon (sec. XI), nel Carme a Roberto re di Francia, descrive l’organizzazione: i nobili-guerrieri che difendono le istituzioni e la società; il clero formato da coloro che si dedicano alla preghiera e alla vita contemplativa e culturale; infine i lavoratori, i contadini artefici della produzione agricola. Il modello della società diviso per prestigio e funzioni riflette l’ideologia delle classi dominanti: nobiltà e clero.
La nobiltà, vantando superiorità di nascita, esercita la supremazia sociale, elabora le proprie strutture giuridiche, sostiene il potere politico monarchico. Appartiene alla nobiltà la cavalleria, istituzione sorta come conseguenza della legge del maggiorascato, per cui solo il primogenito eredita i possedimenti, mentre i fratelli minori (cadetti) possono scegliere se dedicarsi alla carriera ecclesiastica o prestare servizi militari (come cavalieri) a qualche signore per ottenerne, quale ricompensa, un feudo. La cerimonia dell’investitura celebra l’ingresso nella cavalleria o in un ordine religioso cavalleresco e l’assunzione dell’impegno a prestare il proprio valore e coraggio in difesa dei deboli, degli oppressi e della religione.
Il clero è gerarchicamente diviso al suo interno; i sacerdoti sono presenti nelle città e nelle campagne e dipendono da un vescovo (clero secolare); gli ordini religiosi e le comunità monastiche sono organizzate secondo le ‘regole’ dei loro fondatori (clero regolare). La sussistenza del clero deriva da proprietà e attività economiche; alla ricchezza dei vescovi e di alcuni monasteri che hanno vasti possedimenti si contrappone però la difficoltà dei preti di campagna, che dividono con i contadini la precarietà delle condizioni economiche, legate ai raccolti. Il clero è libero, cioè non costretto al lavoro (come i contadini), non subisce vincoli di vassallaggio (come i nobili) ed esercita una posizione di controllo perché detiene il potere spirituale e quello culturale, che diffonde tramite i chierici, intellettuali la cui condizione di religiosi costituisce un mezzo di sostentamento economico.
La massa dei lavoratori è numerosa e varia: i servi della gleba sono legati alla terra del feudatario, dalla quale non si possono allontanare, e vivono in condizione di semi- schiavitù; i contadini liberi lavorano le terre avute in concessione dal signore, al quale devono parte del raccolto, alcune prestazioni (corvées) e il pagamento per l’uso di strade, mulini, frantoi e forni di sua proprietà. Scarseggiano invece gli artigiani e i commercianti, le cui attività avranno una ripresa nell’età comunale, con la rinascita della società urbana.
A partire dal sec. XI nelle corti di Francia si verifica un fatto culturale di grande importanza: l’elaborazione dell’ideologia cortese-cavalleresca che, ispirata alle virtù tipiche della feudalità, esalta la dedizione assoluta all’amore, fonte di perfezionamento, e alla fede cristiana, testimoniata dall’istituzione degli Ordini militari religiosi (i Templari e i Cavalieri Teutonici). Questo modello culturale si diffonde in Europa e viene sentito come patrimonio comune di popoli diversi, ma un tempo legati tra loro dalla comune appartenenza all’Impero Romano. Per questo alcuni nostri letterati (pe. Lanfranco Cigala e Sordello da Goito, sec. XIII), attratti dai temi elaborati nelle raffinate corti feudali e pervenuti in Italia attraverso l’opera di trovatori e giullari, utilizzeranno nelle loro composizioni le lingue letterariamente più evolute, soprattutto la lingua d’oc o provenzale (diffusa nel Sud della Francia); la lingua d’oїl o francese antico (parlata nel Nord) si diffonderà invece nei testi originali o sarà adattata da compositori anonimi ai volgari parlati in Italia.
I trovatori (da trobar, comporre versi) sono gli antichi poeti-musici provenzali e i loro imitatori che nelle corti europee divulgano la cultura cortese attraverso la lirica in lingua d’oc. Di estrazione sociale varia, nobili e plebei, sono professionisti laici che vivono del loro mestiere di autori ed esecutori di testi poetici che accompagnano con musiche da essi stessi composte. Si ispirano a signorili costumi di vita, danno ammonimenti morali e politici e soprattutto celebrano l’amore cortese (fin ‘amor): la donna, ispiratrice del sentimento amoroso, è generalmente la dama del castello, della quale l’innamorato riconosce la superiorità con un atto di vassallaggio. La poesia dei trovatori è colta: essi elaborano immagini ricche di virtuosismi (trobar ric), oppure usano allusioni complesse che rendono ermetico e oscuro il significato (trobar clus), o si esprimono in modo chiaro e comprensibile (trobar leu).
I giullari (dal latino joculare,. giocolieri) sono professionisti del gioco e dello spettacolo, posseggono una certa cultura e mirano a divertire il pubblico nelle corti e nelle piazze con giochi, canti, recitazioni o esibizioni di destrezza fisica. Si deve a loro la divulgazione delle prime opere in volgare e, essendo itineranti, anche la circolazione di notizie. Il loro repertorio è costituito da imprese guerresche (epica), vite dei santi (agiografia), costumi di nobili, feudatari, mercanti, popolani ed eventi tratti dalla realtà quotidiana. Il ruolo dei giullari subisce un’evoluzione nel corso del tempo: dal prestigio culturale dei secc. XII e XIII al declino nell’età umanistica, in cui verranno relegati al ruolo di buffoni di corte. Nell’alto Medioevo i modelli culturali laici e religiosi sono quindi diramati oralmente da trovatori, giullari e chierici vaganti (cioè itineranti), che rielaborano i temi e li adeguano al pubblico delle città, dei villaggi e delle corti.
La cultura orale è diffusa anche durante il carnevale, le feste religiose, le fiere; sono queste le uniche occasioni di ritrovo e di incontro tra le diverse classi sociali attirate da spettacoli di intrattenimento, da rappresentazioni mimiche che rievocano fatti leggendari, vicende epiche, momenti della vita di Gesù (le sacre rappresentazioni di Natale e Pasqua) e dei santi. Sono le forme primordiali del teatro, che verrà perfezionandosi nel corso dei secoli.